Si può essere indotti a ritenere che occuparsi di interdisciplinarità porti a sminuire l’importanza delle singole discipline. Non è così, anzi significa esaltare il contributo di ognuna, che risulta essenziale per arrivare a districarsi nella complessità dei problemi che siamo chiamati a risolvere.
Per noi occuparci di interdisciplinarità significa riconoscere a tal punto il prezioso valore intrinseco di ogni disciplina che crediamo sia fondamentale promuoverne la condivisione, per arricchirsi a vicenda ed arrivare a poter comprendere, e talvolta ad utilizzare in prima persona, gli strumenti e i costrutti logici propri dei colleghi specialisti nelle altre discipline.
Interdisciplinarità significa cercare nelle relazioni tra le discipline la visione più pertinente della realtà.
Di seguito una breve introduzione con le definizioni basilari per iniziare ad esplorare il tema.
Come affrontare la complessità
Si intuisce che per affrontare la complessità della realtà è necessario avere un approccio olistico, perché l’elevata specializzazione comporta certamente grandi vantaggi ma porta con sé anche il rischio della visione ristretta e dell’isolamento.
Ovviamente solo perfezionandosi in un ambito si acquisiscono le competenze avanzate essenziali per la risoluzione di problemi specifici e si garantisce una ricerca di qualità, tuttavia una strada per l’innovazione è quella di creare la sinergia tra le discipline più disparate e dunque unire il contributo dei singoli professionisti specializzati per osservare il problema da diverse angolature e giungere alla soluzione più completa.
A seconda di come si intende unire il contributo delle diverse discipline si può adottare l’approccio multidisciplinare, interdisciplinare o transdisciplinare, che è un tentativo di classificazione delle molteplici interdisciplinarietà, intese come una varietà di modi diversi di superamento dei confini disciplinari, che vanno da semplici prestiti all’arricchimento teorico.
Di seguito le definizioni proposte dal manuale di Oxford sull’interdisciplinarità.
Multidisplinare
Si ha un approccio multidisciplinare quando più discipline vengono coinvolte per affrontare un determinato argomento o problema. Tuttavia, le discipline continuano a parlare come voci separate come in un allineamento enciclopedico e mantengono la loro identità originaria. Le ipotesi sottostanti non vengono esaminate e lo status quo rimane intatto.
Questo approccio è il più facile da raggiungere e amplia la gamma di conoscenze disponibili, ma spesso manca un collegamento significativo tra le diverse prospettive.
Poniamo l’esempio dello sviluppo software, il più delle volte si tratta di un progetto multidisciplinare per natura: servono non solo le competenze dei programmatori, ma anche degli esperti dell’esperienza dei futuri utenti e dell’interfaccia dell’applicazione (UX/UI), della conoscenza del mercato propria del marketing, delle ricerche del team di prodotto, della sensibilità del team di vendite e così via… Ognuno dei professionisti coinvolti espone criticità, soluzioni, pareri tecnici secondo le proprie competenze.
Il manuale di Oxford parla in questo caso di “giustapposizione delle conoscenze”.
Chi ascolta l’esposizione dei singoli esperti ha ampliato la conoscenza perché ha ricevuto molte informazioni in sequenza, ma senza alcuna integrazione, ogni professionista è rimasto nei confini della propria disciplina.
Interdisciplinare
Se “giustapposizione” era la parola chiave per comprendere la multidisciplinarità, “integrazione” è il termine che identifica l’approccio interdisciplinare.
L’interdisciplinarità connota l’integrazione di dati, metodi, strumenti, concetti, teorie e prospettive provenienti da più discipline al fine di risolvere un problema troppo complesso per essere trattato da un’unica disciplina.
Si definisce interdisciplinarità metodologica quando si migliora la qualità dei risultati attraverso il prestito di un metodo o concetto da un’altra disciplina che permette di testare un’ipotesi o sviluppare una teoria.
Se un prestito non comporta un cambiamento significativo nella pratica allora le discipline sono in una relazione ausiliaria. Se diventa più sofisticato e si sviluppa una dipendenza duratura, allora la relazione è complementare.
Si definisce interdisciplinarità teorica quando si raggiunge una visione più ampia e completa integrando proposizioni tra discipline e sintetizzando continuità tra modelli e analogie: i concetti e le intuizioni di una disciplina contribuiscono ai problemi e alle teorie di un’altra.
Tornando all’esempio dello sviluppo software risulta che includere nel team sviluppatori, esperti di UX e UI e specialisti del business risulta necessario ma non è sufficiente, occorre che si instauri un dialogo, uno scambio per risolvere le criticità.
Occorre tenere conto delle reciproche differenze: ad esempio chi proviene da discipline che prediligono l’approccio quantitativo potrebbe faticare ad accogliere le argomentazioni qualitative e viceversa.
Pensiamo ad un analista dati posto per la prima volta di fronte ad una ricerca qualitativa del team di prodotto: ad esempio il risultato di un focus group indetto per capire come mai il prodotto non stia performando secondo le attese. Molto probabilmente se l’analista è stato fino a quel momento abituato ad analizzare test quantitativi, non ne comprenderà subito l’importanza, perché osserva che è privo di significatività statistica.
Possiamo ora immaginare il punto di vista del product manager ricorrendo alle parole di Marty Cagan, punto di riferimento del settore, che sostiene: “i test qualitativi delle idee di prodotti con utenti e clienti reali sono forse la singola attività di discovery più importante per il team di prodotto”, perché anche se non provano nulla, permettono di apprendere rapidamente: infatti ogni partecipante al test offre una porzione del reale e mettendo insieme le diverse risposte si capisce dove si sta sbagliando.
Quindi l’analista dati, una volta che è consapevole e fa propri gli strumenti e gli obiettivi del product manager, ecco che risulta più coinvolto e ritrova nella propria cassetta degli attrezzi i suoi strumenti più adatti per essere condivisi con i colleghi e per affrontare con rinnovato interesse l’analisi qualitativa.
Si noti che nell’approccio interdisciplinare ogni specialista riconosce i collegamenti che dalla propria disciplina vanno all’esterno e su questi fa leva per superare la sfida di comunicare attraverso linguaggi disciplinari separati e per costruire conoscenze comuni.
E’ evidente che questo approccio risulta fecondo solo se si trova il tempo per approfondire la conoscenza al punto di riuscire ad appropriarsi degli strumenti altrui.
(Tra le due forme interdisciplinarità e interdisciplinarietà la norma grammaticale indica interdisciplinarità come forma corretta, tuttavia interdisciplinarietà si trova altrettanto frequentemente e la risoluzione dell’incertezza dipenderà dal prevalere dell’uso come fa notare Nencioni su La Crusca per voi.)
Transdisciplinare
La transdisciplinarità rappresenta un importante sviluppo nella storia dell’interdisciplinarità.
Il termine viene introdotto nel 1970 dallo psicologo evolutivo Jean Piaget per delineare lo sviluppo futuro delle relazioni interdisciplinari, ovvero una fase superiore nell’epistemologia, che mira alla piena comprensione della complessità del mondo.
La transdisciplinarità esprime l’esigenza di percorsi di educazione e ricerca capaci di oltrepassare i confini disciplinari senza limitarsi a giustapporre discipline diverse (multidisciplinarità) o a contaminarle localmente (interdisciplinarità).
Edgar Morin, l’esponente principale, avverte che:
“La grande disgiunzione tra la cultura umanistica e quella scientifica, delineatasi nel XIX secolo e aggravatasi nel XX secolo, provoca gravi conseguenze per l’una e per l’altra”.
Quindi propone di usare le discipline, almeno inizialmente, come mezzi per affrontare i problemi da più prospettive, ovvero serve individuare delle aree problematiche, sulle quali far convergere l’elaborazione del sapere disciplinare.
Schema di Klein e Roesnner
Per ricapitolare Klein e Roessner hanno proposto questo schema che sintetizza i concetti chiave.
Per approfondire il tema dell’interdisciplinarità, specialmente in campo accademico, si può partire dall’intervento che la stessa Klein, pioniera dell’argomento, ha tenuto nel 2013 aprendo la prima conferenza globale sull’integrazione e l’implementazione della ricerca.
Specialisti vs. Generalisti
Come detto non serve alimentare una diatriba sterile tra disciplinari e interdisciplinari o specialisti e generalisti, come vengono maggiormente identificati in ambito aziendale: infatti per risolvere la complessità servono gli strumenti degli uni e degli altri. Tra l’altro è impossibile una classificazione scientifica, tutti noi oscilliamo tra questi due estremi nelle nostre esperienze lavorative, senza mai raggiungere davvero gli estremi. Per dimostrarlo si potrebbe ricorrere al paradosso: se si fosse generalisti puri allora potremmo “sapere niente su tutto” e viceversa, se si raggiungesse il culmine estremo della specializzazione allora arriveremmo a “sapere tutto su niente”.
Tuttavia, è ormai consuetudine in ambito aziendale ricorrere a classificazioni che utilizzano la forma delle lettere come metafora delle competenze di un professionista, pur consapevoli dell’assenza di rilevanza scientifica, questo metodo si è affermato per l’immediatezza della rappresentazione.
Molto semplicemente le linee verticali delle lettere simboleggiano la profondità di conoscenza e abilità in una disciplina, mentre le linee orizzontali l’ampiezza delle conoscenze generali in diverse discipline.
Questa suddivisione viene usata ad esempio in fase di costituzione di un team perché, esaltando le peculiarità di ogni individuo, facilita la ricerca della combinazione ideale, ovvero il giusto mix tra generalisti e specialisti, che si presuppone abbia il talento e la capacità per portare a termine un determinato progetto.
Al momento i profili più usati sono:
- Dash-shaped Le persone a forma di trattino sono generaliste pure: hanno una conoscenza più ampia e una variegata esperienza ma sono prive di una specializzazione precisa.
- I-shaped Le persone a forma di I sono, al contrario, gli specialisti puri: hanno una profonda conoscenza ed esperienza in un’unica disciplina. Superficialmente si fa riferimento a persone con una mentalità più rigida che faticano a comprendere le prospettive altrui.
- T-shaped Il profilo a T è il più famoso, citato spesso come quello ideale per chi opera con Agile, perché sono professionisti che uniscono ad una forte specializzazione anche un’esperienza più ampia con altre competenze trasversali. Probabilmente oggigiorno è visto più come il punto di partenza nell’evoluzione della carriera che non di arrivo, perché nel mondo del lavoro attuale è più facile acquisire più competenze simultaneamente e quindi in breve tempo ci si evolve in profili a forma di pi greco o di pettine.
- Pi-shaped Si diventa profili a forma di pi greco se si coltivano due discipline, più comunemente si tratta di discipline complementari.
- M-Shaped o Comb-Shaped Coloro che vengono identificati con la forma della lettera M o del “Pettine” sono i professionisti interdisciplinari per eccellenza: sono specialisti in molteplici discipline, anche distanti tra loro, e sanno unirle per generare innovazione. Questo è il profilo maggiormente ricercato nei contesti caratterizzati dalla continua evoluzione perché garantisce maggiore flessibilità e adattabilità, infatti semplificando si ritiene che tale professionista sia sufficientemente competente per parlare di diversi argomenti ma anche umile da accettare volentieri il confronto con gli altri.
- E-shaped Infine le persone a forma di E combinano esperienza, competenza (experitse), esplorazione ed esecuzione. Molta enfasi viene posta sull’ultima E: esecuzione. A quanto pare le persone a forma di E traducono le idee in realtà.
Non bisogna dimenticare che queste sono solo semplificazioni che non hanno nessuna pretesa scientifica, si tratta solo di alcune metafore usate in ambito aziendale fin dagli anni’80 e tutt’oggi riproposte con nuove lettere e forme (X, Y, gamma, ad albero…) con la finalità di mettere in risalto delle caratteristiche utili ai leader e ai recruiter durante la creazione e gestione dei team.
Chiaramente è riduttivo incasellare la complessità di un individuo in una categoria specifica, quindi invece di ricorrere alla classificazione come strumento per disegnare la singola carriera del singolo professionista, è preferibile, a nostro avviso, utilizzarla come riflessione sul contesto lavorativo che stiamo creando.
Domandiamoci quindi se il contesto è funzionale ai nostri obiettivi: vengono privilegiati maggiormente gli specialisti oppure i generalisti? Siamo soddisfatti del tasso di innovazione che raggiungiamo?
Sicuramente per favorire l’innovazione dobbiamo accertarci continuamente che sia un contesto in cui viene lasciata la libertà di imparare, anche dal fallimento, dove viene favorita la collaborazione e la contaminazione anziché la competizione, perché questo ci permette di affrontare meglio i problemi complessi, che vanno oltre le capacità del singolo e richiedono invece un ambiente che abilita l’apprendimento continuo e l’apprendimento tra pari.